Il racconto della grande tradizione artigiana della Basilicata
Inserita nel contesto di Fucina Madre 2021, Le forme del tempo presenta opere di artigianato e design connotate da una esplicita identità narrativa che trae linfa dal genius loci lucano.
Gli oggetti accuratamente selezionati rappresentano alcuni dei principali ambiti produttivi che da sempre contraddistinguono la cultura del saper fare della Basilicata, terra ricca di materie prime e forme espressive idiomatiche, le stesse ampiamente testimoniate nelle opere presenti nei tanti Musei della regione, da quelli archeologici e d’arte medievale e moderna a quelli etnografici.
Gli artigiani e designer autori degli oggetti presenti in mostra sono espressione contemporanea della grande tradizione artigiana lucana e nelle loro diverse esperienze, più istintive o più razionali, esprimono appieno la cultura del fare, l’abilità creativa di mani e menti ispirate capaci di disegnare nel presente il futuro, offrendosi al pubblico in un vibrante racconto corale.
L’abilità nella lavorazione del legno connota la storia della Basilicata che è terra ricca di questa vitale materia prima. Ne sono testimonianza i repertori archeologici dei musei lucani, a partire dal mitico Epeo, il costruttore del cavallo di Troia, fondatore di città nella terra degli Enotri, i cui strumenti di lavoro erano custoditi dai Metapontini nel tempio di Atena.
Il lavoro di Antonio Figliuolo (Picerno, 1930) e Luigi Volpe (Grassano, 1947), due artigiani maturi e intensi, intagliatori e musicisti, si lega idealmente a questo flusso del saper fare che attraversa il tempo consegnandoci nel presente opere e manufatti di straordinaria forza espressiva, oltre che di rara sapienza tecnica.
Di Antonio Figliuolo, creatore di sculture in legno, bassorilievi, dipinti, che sono la storia illustrata della sua gente e della cultura tradizionale di Picerno, presentiamo: L’emigrante, e i totem istoriati La madre, Operai in cantiere, Comitiva di amici, Apice (padroni e braccianti).
Di Luigi Volpe, che vive in simbiosi con la natura e lavora a mano, costruendosi gli attrezzi giusti, il legno che “incontra”, ciliegio, noce, acero, ulivo, di cui preserva forme, colore, essenze, presentiamo tavoli e sedute di “legno vivo” come egli ama dire.
Tra i luoghi che più d’altri incarnano la tradizione artigiana della Basilicata, Avigliano custodisce tante significative esperienze del saper fare che si tramanda di generazione in generazione. Tra queste, quella di Annangela Lovallo, raffinata ricamatrice e cultrice del costume tradizionale aviglianese, e quella di Vito Aquila, artigiano coltellinaio che realizza le preziose e ricercate balestre di Avigliano.
Panne r’attuorne è un accessorio insostituibile del costume aviglianese. Una fascia rettangolare della lunghezza di circa mt.1,50x cm.30, di colore rosso, o nero in caso di lutto, adornato da galloni in oro o nastri ricamati e dipinti a mano in base al gusto e allo stato sociale delle donne di cui avvolge la vita e il bacino, quasi a proteggerne il grembo. L’esemplare esposto, che risale alla metà dell’Ottocento, ha la guarnizione ricamata a mano su nastro di taffetá ed è appartenuto alla bisnonna della ricamatrice.
Il ricamo della tradizione aviglianese è eseguito con la tecnica dell’intaglio che in passato connotava i raffinati capi del corredo, in particolare “La MUTA”, il completo che serviva per allestire il primo letto. Per le donne “possidenti” veniva realizzato su lino bianco sebbene, nel periodo bellico, si otteneva anche lavorando sui tessuti dei paracaduti lasciati nei campi dai soldati.
Le balestre avliglianesi sono realizzate con materiali di pregio: per il manico si utilizza corno pieno di bufalo o di toro podolico locale, rigorosamente di sesso maschile; per la lama, acciaio forgiato, damascato o 440c; per la molla, acciaio armonico, mentre per le varole portalama e coniche, l’argento. Infine, per l’intarsio, si utilizza preferibilmente l’argento e, in qualche occasione, anche l’oro. Una produzione ricercata che Vito Aquila propone con dedizione grazie all’esperienza maturata nella bottega del padre e con l’ausilio del maestro Donato Galasso, figlio di Giuseppe, l’ultimo di una stirpe gloriosa di coltellinai aviglianesi.
L’oreficeria della Basilicata antica rappresenta uno dei repertori archeologi più importanti al mondo con giacimenti ricchissimi provenienti in particolare dalle necropoli di Lavello, Chiaromonte, Alianello, Braida di Vaglio e Santa Maria d’Anglona. A questo universo di produzioni preziose che richiamano tutte le molteplici etnie che hanno connotato la storia di questa terra posta nel cuore del Mediterraneo, ricca d’acqua e dunque sempre tanto popolata e ambita, ha fatto eco la capacità degli artieri lucani di utilizzare sapientemente materiali poveri per alludere a prodotti di maggior pregio. Fecondo “dualismo” che viene raccontato in mostra dalle opere di Manuela Telesca, giovane e affermata jewelry designer potentina, e Raffaele Pentasuglia, cartapestaio e ceramista di Matera, figlio d’arte.
Il collier e il bracciale della collezione Trame, realizzati in bronzo, argento e topazi bianchi naturali, si riferiscono a quella parte della ricerca artistica di Manuela Telesca che trae ispirazione dai repertori archeologici lucani; nello specifico, il riferimento è alle cinture in maglia bronzea ritrovate in molti siti della regione e riferite al periodo compreso fra l’VIII e il V sec. a.C.
L’angelo del Carro, espressione del famoso e maestoso “Carro” per la festa della Bruna che si celebra il due luglio di ogni anno a Matera, che i cartapestai Pentasuglia hanno più volte realizzato, è affiancato dal busto di Don Chisciotte della Mancia, nell’attualizzazione della tecnica del Papier Mâché che si offre nella sua purezza idiomatica nell’interpretazione contemporanea di Raffaele.
Il mondo della produzione degli scalpellini, dei ceramisti e dei figuli riguarda tutta la Basilicata, che ha ricchezza di giacimenti di materie prime, come la pietra di Gorgoglione e Latronico e le terre, l’argilla che proviene dalle aree interne, prima fra tutte quella dei Calanchi, che si trovano tra Aliano e Tursi. È in questo contesto che si collocano le produzioni dei fratelli Grieco, lapicidi che lavorano tra Gorgoglione e Guardia Perticara, e Rocco Gallicchio, erede della singolare abilità dei “faenzari” di Calvello, memori dell’arte del modellare appresa dai monaci benedettini provenienti da Faenza che qui si insediarono.
Il mortaio e il lavabo realizzati dai Grieco, Giovanni, Giuseppe, Michele, scalpellini da tre generazioni, sono realizzati in pietra di Gorgoglione e testimoniano tutta la bellezza materica di questa pietra arenaria autoctona, particolarmente resistente sia al caldo che al gelo, che sembra rispecchiare in toto il carattere e lo spirito della gente di montagna. Una durezza che mani sapienti sanno ricondurre a forme eleganti in oggetti essenziali di uso quotidiano.
I piatti in ceramica proposti da Rocco Gallicchio sono espressione piena di un’arte antica appresa dal padre Francesco, che unisce alle fogge tradizionali, segnate dall’immancabile uccello dal corpo di passero e coda di pavone, a nuove creazioni altrettanto raffinate ed originali, risultato di un’accurata ricerca di forme, smalti e colori. Una volta sfornati, gli oggetto “in cotto” vengono smaltati per immersione e dipinti con pennelli in “pelo di capra” che Rocco si costruisce da sé.
La musica rappresenta un elemento significativo della cultura tradizionale della Basilicata, una storia di strumenti e canti che è stata al centro di importanti campagne di rilevazione dagli Anni Cinquanta in poi, con Diego Carpitella, Roberto Leydi, Pietro Sassu e, più di recente, Nicola Scaldaferri. Fra gli strumenti più rappresentativi troviamo la zampogna a chiave, la Surdulina, una zampogna di dimensioni ridotte con ance semplici tipica dell’area del Pollino dove forte è l’influenza della cultura arbëreshe, la ciaramella, il tamburo a frizione, detto cupa-cupa, il tamburello e alcuni modelli di zufolo; strumenti che molto devono alla cultura agropastorale e al mondo della transumanza che ha pervaso per millenni la storia di questa terra, ricca di pascoli e fonti. A tale produzione si affianca quella dell’Arpa di Viggiano, una storia singolare testimoniata dal fiorire di botteghe di ebanisti e liutai nell’Ottocento chiamati a rispondere alla richiesta di strumenti che veniva dai musicisti di strada che, partendo dal paese dell’alta Val d’Agri, si esibivano in Italia e nel mondo.
Le ciaramelle presentate in mostra sono opera di Quirino Valvano, noto musicista-costruttore di San Costantino Albanese, che utilizza sapientemente legni locali come ulivo, acero e ciliegio.
L’arpa è invece frutto del lavoro di un’Associazione che da diversi anni è impegnata nel recupero della tradizione musicale del posto, oltre alla trascrizione e riproposta di brani popolari tramandati oralmente e alla didattica mirata che svolge presso la Scuola dell’Arpa Viggianese. Le essenze utilizzate nella costruzione di cassa armonica, colonna e modiglione sono il faggio e l’acero.
Alla tradizione agropastorale e contadina si riferiscono le produzioni di oggetti di uso quotidiano, in legno o fibre di legno (giunchi, canne, rami di macchia mediterranea, di ulivo, di olmo, di salici), realizzate da due straordinari interpreti di quest’arte millenaria, Antonio Caldone e Giuseppe Stefanachi. Si tratta di manufatti che nascono dalla ricerca e dalla lavorazione della materia prima per poi arrivare all’oggetto finito. Cesti e vassoi, dove i colori della natura si intrecciano sapientemente rivelando una capacità innata di creare forme/contenitori partendo dalla macchia mediterranea, un’arte che Antonio ha appreso dal padre sui luoghi del pascolo fra Bernalda e Pomarico. Attento a questa tradizione e con il desiderio di farsene interprete, Giuseppe Stefanachi nella sua bottega-laboratorio nel cuore dei Sassi di Matera presenta i timbri in legno intagliato, dalle fogge variegate e dal significato simbolico, un tempo utilizzati per connotare il pane di ciascuna famiglia affinché si distinguesse nei forni pubblici o del vicinato; le cavarole utilizzate per “cavare” la pasta fatta in casa, e i tipici cucchiai di legno intagliati, oggetti realizzati con essenze autoctone, come, ad esempio, l’ulivo, il ciliegio e il gelso.
Nella storia dell’artigianato della Basilicata un ruolo importante rivestono anche la lavorazione del ferro battuto e del cuoio. I repertori archeologici mostrano una straordinaria ricchezza di elementi in ferro e bronzo lavorato, in parte riferiti agli armamentari dei guerrieri, elmi, schinieri, corazze, e in parte ai raffinati oggetti di uso quotidiano, come vasi, lucerne, tirabrace, spiedi.
Sagace interprete di questa tradizione è Rocco Taurisano che lavora ferro e bronzo a Tito, paese di idioma galloitalico, donandogli una rara levità, quella che il regista Lorenzo Ostuni ha definito “ferreo viaggio verso la leggerezza”. In mostra la sua interpretazione dell’albero di ulivo e del gallo, elementi simbolici irrinunciabili del suo genius loci.
All’universo creativo del quotidiano si lega la bisaccia tursitana di Salvatore Di Gregorio che ripropone la borsa morbida usata da pastori e contadini, a piedi sull’asino o a cavallo, per portare con sé la colazione del giorno, formaggio, pane, una fetta di lardo… e l’immancabile vino rosso. La lavorazione a mano di cuoio e pelli locali contraddistingue la variegata produzione di Salvatore, nel suo laboratorio che si trova nella città della “rabatana” evocata mirabilmente dal poeta Albino Pierro.
Palmarosa Fuccella
In mostra
- Antonio Figliuolo, totem narranti
- Luigi Volpe, arredi d’ulivo
- Giuseppe Stefanachi, oggetti della tradizione pastorale
- Quirino Valvano, ciaramelle arbëreshe
- Associazione arpa viggianese, arpe
- Antonio Caldone, giunchi intrecciati
- Rocco Taurisano, ferro battuto
- Salvatore Di Gregorio, cuoio
- Vito Aquila, balestre di Avigliano
- Annangela Lovallo, ricami e costumi tradizionali
- Manuela Telesca, gioielli
- Raffaele Pentasuglia, cartapesta
- Rocco Gallicchio, ceramica di Calvello
- Fratelli Grieco, pietra lavorata di Gorgoglione